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Strano, pieno di colpi di scena, tormentato, il percorso che porta al salvataggio del club più antico della capitale. Il calvario che la società deve sobbarcarsi, dopo la caduta di Cragnotti per la crisi Cirio nel gennaio del 2003, è la storia di due imprese: quella di un presidente testardo e antipatico (soprattutto per la sua gente), capace di scalare una montagna di debiti alta mille miliardi delle vecchie lire con intelligenza e fantasia; e quella di un allenatore-artigiano, spigoloso e lungimirante, capace di riportare a guardare in alto una squadra che si stava ripiegando su stessa. La somma di queste storie è una Lazio di nuovo protagonista del nostro calcio, più sobria, ma non per questo meno ambiziosa. Una Lazio che ha le sembianze di tanti nuovi protagonisti, non solo Lotito e Reja. Ha, per esempio, il volto sempre sorridente e scanzonato di Hernanes, il nuovo "Profeta", il fuoriclasse che dà del tu al pallone; e i volti, così diversi, eppure ugualmente determinati, di Miroslav Klose e Djibril Cisse, i due nuovi attaccanti voluti da Lotito per sostituire l'ex idolo Zarate e dare alla Lazio uno spessore internazionale. E ha, infine, un nuovo simbolo. Anzi, quello che dall'inizio di questa storia, dal 9 gennaio del 1900, è "il" simbolo della Lazio: la sua aquila. Solo che adesso l'aquila esiste davvero, non è solo un'immagine. Esiste e vola all'Olimpico prima di ogni partita dei biancocelesti, e da allora anche la Lazio è tornata a volare.